Soli in Africa io e la mia Vespa

The Hand of the Monkey/ Settembre 4, 2022/ opinioni, recensione/ 0 comments

Lo straordinario racconto di Stefano Medvedich

Circa un anno fa (o forse di più? Glissiamo) mi trovavo nel tinello accanto al “laboratorio” di Fabio Cofferati a Contignaco, vicino a Salsomaggiore. Si stava mangiando qualcosa assieme alla sua famiglia e ad un altro amico e probabilmente si stava parlando del suo progetto giapponese, delle patch, delle modifiche alla Vespa. Oh cazzo, son passati almeno due anni allora…. vabbè, glissiamo. Comunque sia, Cofferati stava iniziando a farmi dei piccoli regalini, tipo i copri manopole in spugna per quando smonti la lambretta e non vuoi ungerla, oppure la patch del Vespa Club Bettinelli di Crema, che è molto carina. Io naturalmente stavo avidamente raccogliendo tutto, quando il Coffe si ricorda che in un articolo su questo sito avevo parlato del sig. Cesare Battaglini.

L’amico Cofferati, notoriamente competitivo, inizia quindi ad estrarre cimeli librari di cui farsi sfoggio, tra cui ovviamente una prima edizione originale del libro di Roberto Patrignani che lo ha ispirato per il suo progetto di viaggio olimpico verso est. In mezzo ai suoi libri sbuca anche questo bel libro dalla copertina bianca e arancione, raffigurante l’Africa e degli indigeni in posa vicino ad un Vespa. Si tratta del libro di un pugliese dal nome abbastanza bizarre (citazione), ovvero Stefano Medvedich. Sottotitolo: un viaggio in Vespa dal Salento verso il cuore di tenebra dell’Africa. Fabio sembra tenerci molto a farmelo leggere e insiste per prestarmelo.

Lo confesso, l’Africa non mi ha mai incuriosito molto. Sono stato nel 2016 in Gibuti per lavoro e in questo momento in cui sto scrivendo, sono in Niger sempre per lavoro. Proprio perchè non mi incuriosisce molto, ho aspettato un motivo economico per andarci e smarcare la posizione sulla mia cronologia di Google Maps. Non credo sarei mai venuto in questi posti per turismo, con rispetto parlando naturalmente. Per il medesimo motivo, leggere un libro su un viaggio in Vespa in Africa era in fondo alle mie priorità, ed il libro giaceva ben riposto (naturalmente ho cura di ciò che mi prestano) ma trascurato per ben ehm, un anni. Al momento di partire per il Niger, chiedo il permesso a Cofferati di riporre con cura il suo libro nel baule militare e di portarlo con me, mi sembra l’occasione giusta per leggerlo.

Il libro racconta del viaggio, nel 2007, che Stefano compie alla ragguardevole età di 55 anni. Certamente non è una persona anziana, ma sottolineo l’età anagrafica perchè non molti penserebbero ad intraprendere un viaggio così duro nemmeno in età più giovane. Stefano Medvedich è laureato in lettere ed è un insegnante di lingue all’epoca da poco in pensione. Ovviamente la sua ottima conoscenza della lingua francese, attraversando Sahel, golfo di Guinea e centro Africa, gli sarà enormemente di aiuto, specialmente con militari e polizia. L’Autore parte per questo ambizioso viaggio in Vespa all’inizio di marzo e lo termina, in Tanzania, in ottobre, partendo dalla Puglia e, attraverso Spagna e Marocco, facendo il proprio ingresso in Africa, un continente che negli anni precedenti aveva già conosciuto soprattutto nella sua parte settentrionale.

Di libri di viaggiatori in Vespa ormai ce ne sono molti. Ogni volta che ne approccio uno nuovo, questo non escluso anche se scritto prima di altri già letti, sono sempre abbastanza scettico su cosa mai potrò trovare ancora di interessante. E’ un errore grossolano, perchè anche se ormai il “viaggio in Vespa” sia un affermato sottogenere letterario, quando un autore ha qualcosa da trasmettere, questo aspetto esce prepotente, aldilà del clichè della Vespa. Nel caso del viaggio di Stefano Medvedich, sappiamo che si tratta di una Vespa PX 150 (molto probabilmente la Vespa più affidabile di tutti i tempi), che l’autore è vittima di numerose cadute, che spesso rimane col piede incastrato, che spesso esegue ordinaria manutenzione, che gli fa più danni trasportandola che usandola, ma poco altro. La Vespa è una discreta e affidabile compagna di viaggio, sullo sfondo dell’avventura. Personalmente sono invece altri due gli aspetti che mi hanno colpito di questo libro.

Immobile per ore accompagno con lo sguardo le isolette di vegetazione che la violenza del temporale ha strappato alle rive. Le seguo con gli occhi sino a che scompaiono all’orizzonte. […] ogni chiazza di vegetazione che mi passa davanti si porta via la mia anima, dandole un passaggio sino a che io riesco a seguirla con lo sguardo.

 

Il primo dei due citati aspetti è il racconto dei due tratti percorsi in navigazione. Infatti Stefano, per ovviare a problemi burocratici con i Visti sul passaporto, sarà costretto ad imbarcarsi una prima volta su una nave che gli permetterà di attraversare il golfo di Guinea saltando la Nigeria. La nave in questione è un vascello gabonese, la Magouindi Mahothès. Di questa esperienza gli aspetti sorprendenti sono parecchi: la quantità di giorni che Stefano dovrà attendere per l’effettiva partenza, l’escamotage per garantirgli l’imbarco, l’enorme lunghezza di un viaggio che, sulla carta, dovrebbe essere abbastanza agile e infine, l’effettiva mansione che Medvedich svolse sulla nave, esautorando il cuoco ufficiale. E’ esattamente ciò che immagino un qualsiasi italiano potrebbe fare per trarsi d’impaccio o per ritagliarsi una nicchia lavorativa: cucinare per gli altri.

Il secondo, ancor più sorprendente, tratto imbarcato è il motivo per cui Stefano ha intrapreso il suo viaggio: navigare sul fiume Congo. Si tratta di un fiume immenso che scorre nel cuore dell’Africa e il nostro vespista decide di affrontarlo come farebbero gli abitanti del luogo, imbarcandosi su di una piattaforma galleggiante chiamata Victoria, costituita da tre chiatte agganciate per il lato corto, stracolme (ma nè l’aggettivo, nè il prefisso maggiorativo credo rendano adeguatamente l’idea) di persone e merci, spinte contro corrente da un rimorchiatore che si trova in coda. Anche la partenza di questa “nave” mette a dura prova la pazienza dell’Autore del libro. Passeranno diversi giorni infatti dall’acquisto del biglietto al momento effettivo in cui Stefano ritaglierà un posticino per la propria tenda e per se stesso su una delle tre chiatte, posticino letteralmente assaltato durante il viaggio dai suoi vicini. Il racconto del passaggio sulla Victoria ha i tratti del girone dantesco, tra problemi di salute e smarrimenti dell’anima.

Ma credo, e qui veniamo al secondo aspetto che mi ha colpito di questo libro, che il tratto percorso in vespa nella provincia del Kivu, in Repubblica Democratica del Congo (RDC), sia forse stato psicologicamente ancora più provante. Parlo della dura prova che l’Africa e suoi funzionari, burocrati, poliziotti e militari, tutti accomunati dalla corruzione, hanno sottoposto alla seppur abile e collaudata pazienza di Stefano Medvedich. Personalmente io non sarei stato in grado di reagire (quasi) sempre con la calma che l’Autore sfoggia nei rapporti con le persone, che in virtù di una minima autorità, cercano di metterlo in difficoltà ad ogni piè sospinto per sottrargli denaro. Anche se spero che nel momento in cui scrivo, 15 anni dopo, le cose siano migliorate, è davvero istruttivo vedere come Stefano se la cavi quasi sempre in maniera ottima, tranne ovviamente nel tratto della RDC fino in Ruanda. Personalmente qui in Niger ho a che fare con le Forze Militari tutti i giorni e ne ho un’ottima opinione, ma spesso vedo come la Polizia in strada brami fermarci, per poi notare la divisa militare, la bandiera italiana e salutarci con la mano sulla tesa del cappello.

Vorrei anche spendere due righe sull’importanza delle Missioni religiose. Io sono ateo anche se riconosco l’importanza sociale della cultura cattolica, ma leggendo questo e altri libri, oltre che i resoconti del lungo viaggio di Ilario Lavarra, capisco l’importanza di poter contare anche negli angoli che crediamo geograficamente remoti, di istituzioni religiose cattoliche (ma anche musulmane, come ci insegna Ilario) dove trovare ospitalità e sicurezza.

Veniamo infine al grosso aspetto negativo di questo libro. Come si legge all’inizio di questo mio lungo sproloquio, il libro mi è stato prestato da Fabio Cofferati e dovrò renderglielo. Siccome penso che questo volume debba essere a buon diritto nella mia libreria accanto alle opere di Giorgio Bettinelli, ho deciso di cercare su internet se fosse ancora disponibile in vendita, scoprendo ahimè che ha avuto una tiratura di sole 500 copie e che è esauritissimo. Peccato davvero.

E insomma, tocca dire ancora una volta grazie al Coffe, benchè il suo debito nei miei confronti sia inestinguibile come un pozzi senza fondo.

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